Un imprenditore mi ha detto “con le macchine non ho problemi, ma con le persone lasciamo perdere”.
E sono tanti gli imprenditori a cui sento fare questa affermazione.
Gli ultimi interventi che abbiamo intrapreso nelle aziende sono iniziati con l’ottimizzazione dei processi, con la ridefinizione della Vision e della strategia aziendale, ma ogni volta si sono scontrati con la disillusione, parziale o totale, rispetto al Commitment dei collaboratori.
In funzione di ciò, le azioni sono quasi sempre state concentrate a migliorare le relazioni tra persone di pari livello e a gestire la comunicazione.
Oggi non si trovano bravi collaboratori.
Se da un lato l’avanzare della tecnologia in azienda è un fenomeno inesorabile, che per alcuni andrà a sostituire l’uomo, chi vi scrive non è della stessa opinione. Per avere un successo duraturo e stabile, sarà sempre più importante trovare e far crescere persone motivate, preparate e coinvolte.
A questo proposto, lo sviluppo di una funzione interna di gestione delle risorse umane, o un HR manager esterno, può portare molteplici vantaggi.
La selezione, il momento chiave
In questa fase vi è una serie di errori dovuti principalmente ad una scarsa consapevolezza delle competenze che la persona da selezionare deve avere. La posizione
organizzativa non è ben definita all’interno dell’organigramma, non sono chiari i collegamenti con le altre funzioni, e quindi anche le responsabilità non sono precise.
Durante i colloqui non si pongono domande incisive, ci si limita a sfogliare il curriculum vitae.
Tanto è solo lavorando che conosci veramente come sono le persone.
Non metto in dubbio che un’alea di rischio ci sia sempre, ma giungere alla candidatura avendo rispettato i seguenti passi, la riduce di molto:
- Porsi la domanda: “perché ho bisogno di questa figura”? Quante volte è stato il vostro affanno o quello dei vostri collaboratori a spingere per un’assunzione? Quante volte sono i “ritardi” a spingere a pensare a nuovo personale?
- Analizzare il fabbisogno di competenze e conoscenze che la figura deve avere;
- Analizzare le responsabilità che la figura deve avere;
- Revisionare l’organigramma alla luce della nuova figura e del nuovo fabbisogno;
- Revisionare i processi che la figura deve presidiare e le trasversalità con le altre posizioni organizzative (non sia mai che migliorandoli non se ne abbia bisogno o e se ne abbia bisogno da un’altra parte);
- dialogare apertamente e senza remore di quanto sopra con la nuova figura e proporre dei test attitudinali tramite personale adeguato (vi costerà qualcosa, ma almeno il colloquio sarà condotto da personale in grado di valutare il profilo di un candidato).
L’orientamento, per renderla efficiente il prima possibile
L’altro giorno ho conosciuto presso un’azienda una nuova assunta – medio alto profilo –, la quale ha chiesto a me con sguardo smarrito come doveva fare ad utilizzare il software per adempiere ad un compito.
Sei assunta, sei pagata, mettiti subito al lavoro.
Le persone devono essere formate sulle procedure aziendali e l’orientamento non si deve limitare alla dislocazione della macchina del caffè, all’uso del telefono ed a qualche altra indicazione assolutamente secondaria.
E vi ricordo che nelle PMI spesso le procedure non sono scritte, ma sono quel saper fare che si accumula negli anni.
Quindi succede che una persona si integri dopo parecchi mesi e spesso non del tutto. Inspiegabilmente, qualcosa rimane sempre gelosamente custodito nella testa di qualche collaboratore.
Dunque, prendetevi del tempo per:
- riformulare la Vision dell’azienda ed i relativi valori, che la persona deve dimostrare di aver capito;
- presentarla almeno alle figure più a stretto contatto con lei e nominare una persona di riferimento (un suo responsabile);
- consegnarle l’organigramma, spiegandolo ed illustrandolo (del resto avete investito del tempo per renderlo fedele a come si lavora in azienda?);
- spiegarle le sue responsabilità e a chi deve riferire (cosa deve fare!);
- spiegarle quali sono gli strumenti di cui si deve servire;
- controllare nelle settimane successive che la figura si stia integrando e che abbia trovato un ambiente adatto.
Tutto questo serve per rendere la persona subito “produttiva” e per evitare che dopo qualche mese, abbandonata a sé stessa, ella rinunci al lavoro, causando perdite di tempo e di denaro, ma anche di doversi trovare con lo stesso problema di prima (che ovviamente verrà risolto con il medesimo approccio).
La formazione, per averli tutti sempre sul pezzo
La formazione continua è indispensabile per permettere alle persone di apprendere le competenze necessarie ad affrontare i cambiamenti non solo tecnologici che stanno trasformando il mondo del lavoro.
Perché si cercano persone più dotate delle famigerate soft skill?
Primo perché la digitalizzazione e l’automazione di alcuni processi e mansioni lavorative hanno reso obsolete le competenze necessarie per svolgere alcuni compiti elementari.
In secondo luogo, perché la presenza di questi fenomeni ha reso più vitale saper lavorare in gruppo, poiché non possiamo possedere un numero infinito di competenze. Dunque è necessario lavorare in team e di conseguenza il saper comunicare e relazionarsi con gli altri individui.
Lavorare in team significa aver bisogno di leader “relativi”, di persone che di fronte ai cambiamenti sanno utilizzare le proprie capacità cognitive per risolvere i problemi, senza perdersi d’animo.
La formazione serve sia a svolgere il lavoro di oggi sia a saper affrontare il lavoro di “domani”.
Dunque tutte le aziende, ma soprattutto quelle più piccole, dove il tempo dedicato alla formazione sembra sempre tempo perso (perché non si lavora, ovvio), debbono invece pensare all’apprendimento come ad un momento in cui arricchiscono la propria forza lavoro.
La qualità della formazione
Senza nulla togliere alla formazione obbligatoria, che ricopre altri nobili obiettivi come la sicurezza sul posto di lavoro, la formazione discrezionale deve essere però attentamente studiata e programmata.
Infatti, le competenze richieste dalla propria struttura organizzativa, dalla propria strategia e dai propri processi produttivi devono essere confrontate con le conoscenze presenti in azienda.
Solo individuando il gap si potrà fare della formazione di qualità, non “spinta” da leggi agevolative o dalla forza commerciale dei tanti enti formatori sul territorio.
L’offerta formativa va costruita in base alla cultura aziendale ed ai bisogni specifici che l’azienda esprime e non in base alla gratuità o al trend del momento.
Dunque bisognerebbe costruire un piano formativo specifico, una sorta di budget delle competenze da acquisire o rafforzare, stilato ad inizio anno con gli altri budget, per indicare in modo preciso cosa serve all’azienda.
Questo budget è altresì utile ad individuare le risorse (finanziarie e strumentali) necessarie per ottenere o fare la formazione, nonché a stabilire degli obiettivi da raggiungere.
È quello che io definisco il ROI delle competenze: se si sono acquisite delle specifiche competenze, come è migliorata l’area in cui esse sono state applicate rispetto a prima? Ho costruito dei KPI per misurare le performance? Ho tenuto conto dell’età, delle esperienze precedenti degli individui, delle loro attitudini, dei momenti in cui erogo la formazione?
Insomma, un’azienda dovrebbe lasciare poco o niente al caso, da quando assume un giovane apprendista a quando si deve preparare al suo passaggio generazionale, pensando a coordinare l’esperienza e l’abilità maturata da chi andrà in pensione con l’entusiasmo e le nuove conoscenze di chi prenderà il suo posto.